Arturo Malignani. Storia, nuove ipotesi e attualità 

L’ invenzione del vuoto nella lampadina. Il 4 marzo 1865 nasce a Udine Arturo Malignani (vedi foto 01) e dunque in questo anno cade il 150° anno dalla sua nascita. Su questa figura d’inventore e industriale hanno parlato i giornali, la televisione e la radio. È stato ricordato agli udinesi e al Friuli che quest’uomo, dai tanti interessi scientifici e innovatore nel campo dell’industria manifatturiera, ha dato anche il nome a una Scuola Tecnica - o meglio Politecnica – cittadina famosa in tutta Italia e anche all’estero: l'ISIS “Arturo Malignani” di Udine....

L’ invenzione del vuoto nella lampadina 

Introduzione.

Il 4 marzo 1865 nasce a Udine Arturo Malignani (vedi foto 01) e dunque in questo anno cade il 150° anno dalla sua nascita. Su questa figura d’inventore e industriale hanno parlato i giornali, la televisione e la radio. È stato ricordato agli udinesi e al Friuli che quest’uomo, dai tanti interessi scientifici e innovatore nel campo dell’industria manifatturiera, ha dato anche il nome a una Scuola Tecnica – o meglio Politecnica – cittadina famosa in tutta Italia e anche all’estero: l’ISIS “Arturo Malignani” di Udine. Qualcuno fra i divulgatori ha anche ritenuto che quest’uomo, al di là dei suoi meriti che nessuno mette in discussione di inventore e imprenditore, abbia anche contribuito, se non altro indirettamente, al progresso della scienza nel campo della fisica e della chimica, della meteorologia e dell’agraria. In questo breve scritto mi soffermerò a ricordare la sua invenzione più famosa, ovvero la tecnica rivoluzionaria di produzione del vuoto nella lampadina elettrica che ha aumentato la durata e l’efficienza delle prime lampadine elettriche. 

Gli storici sono in grado di ricostruire i percorsi conoscitivi delle teorie e delle invenzioni di personalità morte da tempo appoggiandosi a documenti originali dello scienziato e dell’inventore. Molti si sono chiesti, e gli autori del presente articolo non di meno, se il nostro abbia lasciato qualche scritto che ci aiuti a comprendere le tappe del pensiero che l’hanno condotto alla sua originale tecnica di produrre il vuoto nella lampadina. Ha lasciato lettere, quaderni di laboratorio? Il bis nipote Federico, che ancora abita con la famiglia nella casa che fu anche abitazione del bis nonno ai piedi del Castello, ci racconta che: «… se avesse lasciato qualche scritto è andato perduto, insieme alle macchine e le apparecchiature di laboratorio e oggetti di famiglia, nel corso dell’occupazione dell’esercito austro ungarico dopo la rotta di Caporetto nel 1917». 

Tracce e ipotesi ci portano a pensare che qualcosa si possa trovare negli archivi Edison negli Stati Uniti, ma al di fuori delle possibilità di accesso da parte di chi vi scrive. Scontata l’impossibilità pratica di verificare l’esistenza di documenti, la ricostruzione delle conoscenze e delle tecniche che hanno permesso ad Arturo Malignani di giungere al suo più famoso risultato può 

arrivare dalla testimonianza di coevi che l’hanno accompagnato in vita e che l’hanno celebrato in occasione di anniversari, discorsi riportati dai giornali dell’epoca, e dallo stato della scienza e della tecnologia alla fine XIX secolo. Mi propongo di compiere questa operazione ma non prima di mettere sotto la lente il carattere, le abitudini del nostro e lo stato dell’arte nel campo della pubblica illuminazione in Udine. 

Cenni biografici e di attualità.

Un aspetto del suo carattere, riportato dai ricordi dei familiari, ci induce a pensare che, anche se la casa non fosse stata confiscata nell’ultimo anno di guerra con i familiari profughi in Italia al di là della linea del Piave, ben poche tracce scritte avremmo trovato di quanto mulinava incessantemente nel suo cervello. Infatti, racconta Federico Malignani sul filo della memoria, che il bis nonno Arturo era un uomo dal discorso stretto e misurato, che trovava diletto nella sperimentazione solitaria e sempre in movimento. Lo vediamo allora intento a manipolare l’attrezzatura di lavoro, governare la strumentazione di laboratorio, la penna che corre sulle pagine dei libri contabili per il controllo delle voci di uscita e di entrata ecc. Difficile immaginarlo curvo e pensoso sulla scrivania, penna sospesa sul quaderno intento a scrivere le idee uscite dalla sua mente. Un tale impegno documentale avrebbe sottratto tempo prezioso alla produzione di risultati tanto tecnici che economici. Si può anche intuire lo frenasse a rendere di pubblico dominio le idee che aveva maturato, il ‘know how’ si direbbe oggi, una giustificata ritrosia e una misurata diffidenza verso la concorrenza che ne avrebbe profittato e frenata una attività in rapida espansione. 

Un altro particolare non senza peso merita di essere raccontato. Il ‘Siôr Turo’ parlava correntemente in friulano e questo ci dice da un lato che il rapporto con i suoi dipendenti doveva essere diretto e schietto e dall’altro che l’uso della lingua italiana aveva finalità pratiche, nei rapporti di affari o per considerazioni in situazioni di relazioni pubbliche sul lavoro o per discutere di problemi che di certo non saranno mancati durante la sua lunga attività di industriale. Non riusciamo proprio a vederlo diffondere, dando sfoggio di abilità dialettiche, riflessioni scritte di suo pugno in ambienti accademici – che di certo non frequentava – o nelle assemblee societarie. 

Per meglio capire la personalità dell’uomo e cercare le motivazioni che l’hanno spinto a indirizzare il suo ingegno nel campo dell’elettricità, andiamo a considerare quanto l’educazione familiare, la società dell’epoca e il contesto culturale possano aver influito sulle scelte del giovanetto Arturo. 

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